Percorso: Il cavallo maremmano / Le Tradizioni / Le Selle
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martedì, 29. ottobre 2024

Testi e foto tratti dal libro “Butteri di Maremma” di Antonella Deledda e Lorenzo Mancioppi, Vallecchi Editore

 

bardella - tolfetana
bardella - toscanella
bardellone da doma con bisacce
bardellone da doma
sella col pallino

LE SELLE

La bardella (deriva dall’arabo bardaah, sella senza arcione. La stessa origine ha il termine francese bardello, che indica una sella, ormai in disuso, che ha in comune con la sella maremmana l’imbottitura interna di pelo animale)

E’ la sella del cavalcante per eccellenza e viene usata da molto tempo nell’intero territorio maremmano. E’ anche la più povera delle selle usate dai butteri: pressoché priva di arcione, è infatti costruita intorno a un piccolo frontale di legno a semicerchio; per realizzarla è sufficiente poco pellame, mentre per il resto è fatta di tela imbottita di borra, cioè pelo. E’ una sella di grandi dimensioni, che aderisce interamente alla schiena del cavallo ed è particolarmente confortevole per il cavaliere. Caratteristica è la “cinghiatura”, che si effettua mediante un sottopancia privo di fibbie, che viene fermato passando e ripassando il laccio terminale di cuoio, detto squinzaglio, in appositi anelli. Ma con il generico termine di bardella si definiscono una molteplicità di versioni; il tipo di bardella detto toscanella, ad esempio, veniva prodotto a Tuscania e si distingueva dagli altri per la qualità dei materiali usati, per la lavorazione accurata e per talune ricercatezze nei particolari che la rendevano assai ambita dai cavalcanti nonostante fosse più costosa delle altre.

La biedana, originaria di Blera, era al contrario la più essenziale delle bardelle e veniva utilizzata anche come basto; realizzata totalmente in tela e paglia, quasi completamente senza cuoio, era spesso integrata da grandi bisacce, sempre di tela, chiamate verta.

La bardella oggi più diffusa è la tolfetana, che è anche la versione più recente di questo tipo di sella, creata tra il 1933 e il 1935 da Giuseppe Bartolozzi di Tolfa. Si differenzia dalla toscanella, che era più raccolta ed elegante, per la forma tozza della parte anteriore, per la sagoma e la decorazione dei cuscini e per le staffe che nella tolfetana sono di grandi dimensioni.

A Tolfa veniva prodotta anche la orvietana, o viterbese, oggi in disuso, che si differenziava dalla tolfetana per la particolare forma del frontale, nel cui interno era realizzata una tasca segreta, detta “tasca del fattore”, molto utile in tempi di briganti.

La bardella da doma è chiamata in Toscana bardellone o domatrice, sella alla buttera nel comprensorio di Tuscania e bardella maremmana sui monti della Tolfa. Nasce come sella da prima doma ed ha perciò caratteristiche estetiche essenziali nonostante le grandi dimensioni; è una sella strettamente personale poiché, grazie alla particolare qualità dei materiali impiegati ed alla lavorazione, si sagoma perfettamente su colui che, come si dice in gergo, la doma, consentendo un’inforcatura eccezionalmente stabile. Più di ogni altra sella del suo genere, il bardellone rivela la sua discendenza dal basto campagnolo. Nel corso della sua esistenza ha mantenuto caratteristiche abbastanza stabili, le differenze riguardano per lo più le dimensioni, per il resto tutte hanno in comune il pellame, ossia il montoncino, ed i finimenti di particolare consistenza. Oggi la bardella nella maremma toscana è stata quasi completamente scalzata dalla scafarda, mentre è tuttora molto usata nel viterbese e nella provincia di Roma.       

La sella alla buttera, conosciuta dagli addetti ai lavori come sella col pallino in Toscana e come fiorentina nel Lazio, è stata utilizzata a lungo nella maremma livornese e in quella grossetana.

Dalla chiara influenza spagnola si può dedurre che la sua introduzione in maremma risalga allo Stato dei Presìdi. La sella col pallino, destinata a sopportare fortissime sollecitazioni, era realizzata in materiali di eccezionale robustezza: la su costruzione avveniva intorno ad un telaio di legno di fico, materiale molto flessibile, rinforzato da una ferratura. Inoltre la sella veniva fissata al cavallo mediante un doppio sistema di ancoraggio, i riscontri con fibbie ed il guinzaglio. Infine, tutti i finimenti erano doppi, cioè realizzati con un duplice strato di cuoio di grosso spessore. Le selle col pallino venivano realizzate su misura. Accanto a tali caratteristiche di robustezza non mancavano alcune finezze: il bardellino, ad esempio, sorta di piccolo cuscino posto sotto il codale nel punto di massimo attrito, per evitare le fiaccature sulla groppa del cavallo. Un funzione analoga svolgevano i parafibbie anteriori, protezioni di cuoio applicate sotto le pesanti fibbie del pettorale, e i tre cuscinetti imbottiti posti nella cinghia del sottopancia nei punti di maggior contatto. Parte integrante della sella era la berta, una striscia di cuoio a passante cucita al pallino e trattenuta al seggio dal corpo del buttero; serviva a trattenere la lacciaia ed a poterla prendere con facilità. Le staffe, molto particolari, erano in ferro battuto o in fusione di ghisa, così piccole da contenere unicamente la punta dello stivale.

La decadenza di questa sella, iniziata intorno agli anni ’20, è stata definitivamente sancita sia dalla concorrenza della più economica bardella sia dall’affermazione della scafarda.

scafarda
scafarda con bisacce


l'evoluzione dell'arcione

La scafarda (questo termine è di origine incerta. Si può ipotizzare che provenga da scaffare: cadere dall’arcione, per il riferimento a quest’ultimo)  

Giornale militare, atto n. 11 del 7 gennaio 1903: denominazione della sella regolamentare per truppe di cavalleria. “Questo ministero ha stabilito che l’attuale sella regolamentare per truppe di cavalleria assuma la denominazione di sella cavalleria modello Del Frate”. Firmato: il Ministro della guerra Ottolenghi.

Questo scarno comunicato sanciva ufficialmente la paternità del colonnello Settimio Del Frate, che aveva proposto i più recenti aggiornamenti della sella. Durante la sua carriera nell’Arma di cavalleria, il colonnello si è dedicato in particolare a perfezionare l’equipaggiamento del cavalleggero, ma il suo capolavoro rimane il perfezionamento della sella che porta il suo nome, ed in particolare l’arcione, realizzato così perfettamente da restare ancora oggi insuperato. E’ infatti concepito in modo da costituire un supporto a due cuscini sottobanda con grande superficie di appoggio, capaci di distribuire uniformemente il peso sulla schiena del cavallo, lasciando al tempo stesso libero il garrese e permettendo così il passaggio dell’aria nella parte superiore della schiena dell’animale.

La sella Del Frate fu ulteriormente modificata nel 1916, quando l’arcione composto di 4 elementi fu sostituito con uno dalla forma immutata ma realizzato con 9 elementi ad incastro. Gli arcioni erano disponibili in diverse misure, da 1 a 4, e nelle versioni S (stretto) e L (largo), che indicavano la lunghezza degli archi e l’inclinazione delle palette dell’arcione. La modifica più rilevante fu però nella sagomatura dei cuscini sottobanda, che vennero allungati nella parte anteriore permettendo alla sella di scivolare maggiormente verso la spalla del cavallo.

Questa bardatura, chiamata anche sella da batteria, è stata concepita per attività belliche, doveva dunque consentire l’affardellamento, grazie anche a bisacce laterali, di tutto il corredo del cavalleggero. Dopo la fine della seconda guerra mondiale la sella della cavalleria è andata in pensione, anche se non ufficialmente. Ma, prima ancora che avesse terminato la carriera militare, ne ha iniziata un’altra, forse ancora più brillante: risale infatti agli anni ’20 il primo approccio dei butteri con questa sella, avvenuto nell’allora Regio Deposito Stalloni dell’Esercito, situato alle porte di Grosseto e dove erano occupati alcuni butteri. Del resto, una sella di tale qualità non poteva non affermarsi: meno professionale e più versatile della sella col pallino, più duratura e confortevole della bardella, la scafarda si situava tra le due anche nel costo.

Ogni selleria ne propose una versione, con modifiche marginali rispetto al modello Del Frate; venne  migliorata la qualità dei materiali, impiegando vacchetta pesante, e modificata la realizzazione dei cuscini, in particolare aumentandone l’imbottitura e proteggendone col cuoio la parte più esposta. Sul finire degli anni ’50, poi, venne sostituito il sottopancia a fibbie con quello a giro, ritenuto più sicuro. Questa sella, la cui culla di espansione rimane il grossetano, non si è invece affermata nella Maremma laziale che, del resto, è la patria della bardella, sua grande concorrente. Ciononostante proprio i sellai di Tolfa, noti per le bardelle, propongono oggi una versione della scafarda rivisitata alla maniera laziale: imbottitura di borra anziché di crino vegetale o animale.

Dopo il favore dei butteri, la scafarda sella sembra oggi in grado di guadagnarsi anche quello di un più vasto mercato amatoriale, date le sue qualità che la rendono eccezionale in campagna e nel trekking.

 

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